L’incubo delle verifiche scritte

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Quando ero piccolo mio padre un giorno mise su una cassetta delle colonne sonore scritte dai Goblin e l’ascoltammo insieme. Se questa frase non vi ha sconvolto allora ci sono due possibilità: 1) siete molto giovani oppure 2) non sapete che cosa hanno fatto i Goblin. Comunque, svelerò l’arcano: i Goblin sono un gruppo italiano di rock progressivo e sono autori della colonna sonora di alcuni film di Dario Argento. Una su tutte, la colonna sonora di Profondo Rosso.

Quella cassetta fu per me l’inizio di una grande inquietudine. Da una parte quella musica mi piaceva ma l’idea che fosse in un film (che non avevo visto ancora all’epoca) mi metteva ansia. Quando anni dopo vidi Profondo Rosso finalmente compresi moltissime cose, nonché la potenza della colonna sonora in un film in generale.

Se per Profondo Rosso ora intendiamo la possibilità di prendere 2 o 3 in una verifica scritta di matematica o fisica, allora i Goblin risuonano ancora veementemente in tutte le scuole italiane. I giorni che passano prima di una verifica hanno la stessa violenza psicologica del film di Dario Argento: che tu abbia studiato o meno, il carico di ansia può essere comunque devastante. Inoltre, se l’unico risultato visibile all’esterno (leggi “famiglia”) del tuo impegno a scuola è il voto di una verifica scritta, allora l’inquietudine e l’ansia possono raggiungere livelli incommensurabili.

E pure noi prof, insomma, non siamo da meno: facciamo le verifiche per mettere un voto e mettiamo un voto perché ci sembra il modo migliore di verificare se la classe ha capito (a livello individuale). Questo gatto-voto che si morde la coda-verifica spesso non fa dormire la notte neanche a chi insegna. O almeno, non fa dormire neanche me regaz, sappiatelo.

E allora adesso parleremo di verifiche scritte. Iniziamo.

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Aboliamo le interrogazioni a scuola

[tempo di lettura 8 minuti]

Da quando insegno, uno dei miei più grandi crucci è sempre stato quello delle interrogazioni. Qualche anno fa ho preso una decisione drastica: non le faccio più.

Per cercare di farvi capire le motivazioni di questa scelta, parto dal punto in cui nascono tutti i traumi: l’adolescenza a scuola e, in questo caso, parlo della mia.

Una cosa che mi è successa quando ero studente

Ero in prima liceo scientifico, nell’anno scolastico 2000/2001. Io e il mio compagno di banco stavamo chiacchierando, chissà di cosa poi. Il prof di matematica, che i miei compagni di classe – qualora fossero iscritti a questa newsletter – ricorderanno sicuramente, mi chiamò per interrogarmi. Io, che fino a pochi mesi prima ero in una scuola media di paese, già stordito da tutto quello che stava accadendo (il pendolarismo ogni giorno, nuovi compagni che non conoscevo, nuove materie – il latino! – e quelle vecchie più difficili) mi alzai dal banco sapendo di essere stato colto in flagranza di “reato” e che il prof stava – innanzitutto – per punirmi con una interrogazione.

Ma poi, quel prof di quella materia: matematica. Era la mia materia preferita, fino alle medie andavo stra-bene, ma in quel momento preciso mi sentivo stra-scarso. Non avevo ascoltato una cippa di quello che aveva spiegato: che cosa mi stava per chiedere?

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Chi cambierà la scuola?

[tempo di lettura 13 minuti]

Oggi vorrei parlare della storia del cosiddetto boicottaggio dell’esame di stato del secondo ciclo di istruzione e della conseguente repressione esplicita e implicita a cui abbiamo assistito a livello politico e mediatico. Per farlo, oltre al racconto della vicenda di attualità, aggiungerò due piccoli contributi: il mio esame di stato e un film tedesco sceneggiato da Brecht nel 1932 (da cui deriva il mio nickname, peraltro).

Anni fa, il mio esame di stato

Quando ero in quinta liceo scientifico, un po’ come tuttə lə compagnə della mia classe, pensavo a come sarebbe andato l’esame di stato. Avevo in realtà tenuto una buona media dei voti nel triennio (tirata notevolmente su solo da due materie: matematica e fisica) e quindi avevo a disposizione il massimo dei crediti. Ma c’era molto da fare ancora per arrivare a 60!

La prima prova, il tema di italiano, fu un colpo di fortuna: quando arrivo il foglio con le tracce ministeriali fui molto in difficoltà mentre le sfogliavo, tra Dante e altri testi. Poi, la svolta nell’ultima traccia, il tema “libero”, che mi salvò la vita.

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Prima del Big Bang

[tempo di lettura 13 minuti]

Come iniziare questo blog? Con il Big Bang, ovvio. Eppure, quando mi trovo a fare, ogni tanto, serate di divulgazione scientifica, una delle domande più gettonate è sempre: cosa c’era prima del Big Bang?

Il Big Bang, traducibile in italiano come Grande Botto, è un termine che spesso usiamo per riferirci alla “nascita” del nostro Universo. Tecnicamente, il termine più corretto da usare sarebbe Teoria del Big Bang. Questo perché, sempre tecnicamente, l’universo non è iniziato né con un botto né tantomeno con un’esplosione. Tuttavia in passato (ma ancora oggi a volte) sia i libri scolastici sia grandi personaggi della comunicazione scientifica hanno perseverato più volte con il concetto di “esplosione” per descrivere come è iniziato l’universo.

Parliamo un attimo della teoria del Big Bang

Mettiamo in ordine alcuni fatti, allora. Oggi sappiamo che sicuramente l’Universo ha avuto un inizio, precisamente 13,79 miliardi di anni fa. Lo sappiamo grazie ai dati della radiazione cosmica di fondo raccolti dal satellite ESA Planck del 2018. Non starò oggi a parlare della radiazione cosmica di fondo, ma vi basta sapere che si tratta dell’evidenza scientifica numero uno della Teoria del Big Bang, di cui parlerò brevemente tra pochissimo.