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Quando ero piccolo mio padre un giorno mise su una cassetta delle colonne sonore scritte dai Goblin e l’ascoltammo insieme. Se questa frase non vi ha sconvolto allora ci sono due possibilità: 1) siete molto giovani oppure 2) non sapete che cosa hanno fatto i Goblin. Comunque, svelerò l’arcano: i Goblin sono un gruppo italiano di rock progressivo e sono autori della colonna sonora di alcuni film di Dario Argento. Una su tutte, la colonna sonora di Profondo Rosso.
Quella cassetta fu per me l’inizio di una grande inquietudine. Da una parte quella musica mi piaceva ma l’idea che fosse in un film (che non avevo visto ancora all’epoca) mi metteva ansia. Quando anni dopo vidi Profondo Rosso finalmente compresi moltissime cose, nonché la potenza della colonna sonora in un film in generale.
Se per Profondo Rosso ora intendiamo la possibilità di prendere 2 o 3 in una verifica scritta di matematica o fisica, allora i Goblin risuonano ancora veementemente in tutte le scuole italiane. I giorni che passano prima di una verifica hanno la stessa violenza psicologica del film di Dario Argento: che tu abbia studiato o meno, il carico di ansia può essere comunque devastante. Inoltre, se l’unico risultato visibile all’esterno (leggi “famiglia”) del tuo impegno a scuola è il voto di una verifica scritta, allora l’inquietudine e l’ansia possono raggiungere livelli incommensurabili.
E pure noi prof, insomma, non siamo da meno: facciamo le verifiche per mettere un voto e mettiamo un voto perché ci sembra il modo migliore di verificare se la classe ha capito (a livello individuale). Questo gatto-voto che si morde la coda-verifica spesso non fa dormire la notte neanche a chi insegna. O almeno, non fa dormire neanche me regaz, sappiatelo.
E allora adesso parleremo di verifiche scritte. Iniziamo.
C’è l’obbligo di fare le verifiche?
La scuola pubblica, come tutte le pubbliche amministrazioni, ha bisogno di una legge in cui c’è scritto come fare le cose. Se manca la legge allora quell’aspetto non è normato. Per le verifiche bisogna cercare un po’ nella Gazzetta Ufficiale, ma alla fine tutto salta fuori. E mi dispiace deludere chi sperava il contrario: una legge esiste. Ma è una legge molto vecchia, forse troppo. Si tratta di una legge del 1925. Sì, avete letto bene l’anno: siamo in pieno periodo fascista.
Per la precisione, sto parlando dell’articolo 79 del Regio Decreto n. 653, pubblicato il 4 maggio 1925. Questo articolo dice:
“I voti [allo scrutinio di fine scuola] si assegnano, su proposta dei singoli professori, in base ad un giudizio brevemente motivato desunto da un congruo numero di interrogazioni e di esercizi scritti, grafici o pratici, fatti in casa o a scuola, corretti e classificati durante il trimestre o durante l’ultimo periodo delle lezioni.”
Dunque le verifiche (e pure le interrogazioni, ehm) vanno fatte secondo questa legge. E ne serve pure un congruo numero. Chi decide il congruo numero? Questo aspetto è chiarito nella Ordinanza Ministeriale n. 90 del 21 maggio 2001 all’articolo 13 comma 3:
Il collegio dei docenti determina i criteri da seguire per lo svolgimento degli scrutini al fine di assicurare omogeneità nelle decisioni di competenza dei singoli consigli di classe.
In sostanza: il Collegio Docenti, cioè NOI, eventualmente declinato nei vari dipartimenti disciplinari, deve decidere il congruo numero di verifiche scritte e interrogazioni (orali) per ottenere un voto in pagella. Tutto questo, come predisposto dal Regio Decreto del 1925. Quando, spesso, dico che siamo fermi a un mondo che non esiste più, mi riferisco proprio a queste cose qui.
Va beh, ma le verifiche sono utili, dicono
Comunque sia, le verifiche (come ho scritto già per le interrogazioni) sono strenuamente difese come se fossero non solo utili (per l* studente, dicono) ma anche inevitabili (sennò, come fai a valutare?).
Ora, nel post se sulla proposta di abolire le interrogazioni in favore del lavoro democratico quotidiano magari c’è qualche spiraglio di dibattito, sembrerebbe invece che comunque le verifiche scritte siano ineluttabili – come afferma il regio decreto. Soprattutto poi se ci si mette pure l’Ordinanza Ministeriale a delegare tutto al Collegio Docenti per in congruo numero.
In realtà, tutto questo dimostra quanto possa essere potente un lavoro di Dipartimento Disciplinare se c’è unità di intenti tra l* docenti. In pratica, è tutto nelle nostre mani. E non possiamo comunque farci spaventare da un regio decreto che non è altro simbolo di una esperienza scolastica che, a molt* di noi, non ci è mai appartenuta neanche per sbaglio. Avete capito che negli ultimi 100 anni abbiamo pianto per voti in verifica solo a causa di quel decreto? E inoltre, cosa ben più grave, avete capito che neanche quel decreto obbliga a fare verifiche con voto?
Non solo le interrogazioni quindi possono essere facilmente surclassate da un’altra metodologia, ma anche le verifiche possono essere abbandonate in luogo di esercitazioni più blande (in termini di valutazioni). Ovvero: la legge dice chiaramente che l’unica valutazione da cui non possiamo sottrarci noi docenti è quella di fine periodo o fine scuola. Tutti gli altri voti che mettiamo sono praticamente evitabili.
Certo, mettere voti man mano aiuta student* e prof a tenere sotto controllo i progressi in una logica individualista e performativa finale. Ma questo è puro esercizio del potere docente. Infatti se volessi usare critcamente il potere docente, allora potrei insomma fare le stesse cose senza mettere un voto sul Registro, ma semplicemente fornendo un feedback e correggendo l’esercitazione scritta o qualsiasi altra cosa (che poi è ciò che faccio io).
Molto spesso la verifica viene considerata “utile” dai e dalle prof per porre l* student* di fronte a una prova e cercare di cavarne qualcosa. Peccato che il vero stimolo di chi fa quella prova sia uno solo: il voto. In più, è uno stress messa così: ottengo un voto per una performance cronometrata. Che senso didattico ha di preciso? Boh.
Possiamo discutere, e molto, sul fatto che ci si giochi tutto con prove scritte e orali cronometrate: ma se lo facciamo a scuola con questa ottica allora stiamo preparando le persone a queste prove di vita vissuta, non stiamo facendo più scuola pubblica. A meno che qualcuno non veda sovrapposizioni totali in queste due faccende.
La perversa logica del voto della verifica
Partiamo da un assunto: se prendo un buon voto alla verifica scritta posso stare tranquill* e staccare un po’ dallo studio. Credo sia lapalissiano, nella logica di chi è studente. Dunque la ricerca del voto buono, con qualsiasi mezzo, faticoso, legale, illegale, è volto a questa consapevolezza.
Ma se è così, allora il voto non ha peso didattico: non è una valutazione intermedia dello studio, bensì è solo una tappa salvifica o meno nel percorso annuale, dal punto di vista di chi studia. Questo fa sì che alla fine l* ragazz* si focalizzino solo sul risultato degli sforzi, perché quel risultato può dare tranquillità oppure generare ulteriori ansie se minore del 6. In tutto questo, la didattica e l’apprendimento dove sono?
Una restituzione dell’esercitazione, corretta e analizzata, con un giudizio ma senza un voto, è molto più utile a mio avviso. È ciò che faccio in classe (come ho cercato di descrivere anche qui).
Nell’impostazione standard, il gatto-voto e la coda-verifica si rincorrono sempre e non se ne esce.
Una questione privata…o pubblica?
La verifica getta student* in preda all’ansia e allo stress, come un incubo horror. D’altra parte però, un approccio democratico da parte del prof, approccio volto a ridurre ansia e stress, non fa altro che aumentare ansia e stress stavolta nella testa del prof, in quanto si ritrova a dover gestire quel carico di ansia e stress della classe.
Voglio dire che prof con un’impostazione più autoritaria non si curano dei livelli di ansia e stress della classe. I ragazzi e le ragazze però in qualche modo devono prestare sfogo a questi carichi e lo fanno in mille modi possibili, a volte anche parlando con altri prof (per esempio con me, mi succede ogni giorno). D’altra parte io divento appunto la loro valvola di sfogo. E poi succede anche per le mie materie dove, a dire il vero, non dovrebbero affatto sentire ansia e stress in virtù della metodologia usata che guarda direttamente all’articolo 3 della Costituzione, quindi verso meno disuguaglianze di ogni tipo all’interno della classe.
Questi carichi di stress e ansia sono un problema pubblico o privato? Perché se da una parte le mie classi soffrono, dall’altra sembra non riescano a non soffrire – anche per esempio quando arrivano le mie verifiche in cui, per l’impostazione data, puoi prendere una grave insufficienza solo se non hai mai fatto un compito neanche per sbaglio, e li puoi fare sbagliati i compiti per casa! – e non riescano a non esporre il loro disagio.
Ecco, appunto, a me sembra un disagio nei confronti proprio della scuola, di questa scuola che ancora si poggia su un regio decreto del 1925.
Questi carichi di stress e ansia risultano pubblici in classe ma finiscono poi tutti nel mio privato, in quanto io sono spesso l’unico prof destinatario di questi sfoghi per tutte le materie. Una specie di imbuto. E io cosa ne faccio? Sto qua, ne scrivo su questo blog, sperando che i miei colleghi e le mie colleghe decidano insieme di cambiare le regole all’interno di un dipartimento, di almeno ascoltare le proposte un po’ più alternative per provare tutti e tutte noi, me compreso, a mettere in discussione i nostri metodi di insegnamento.
E ovviamente, poi, ascoltare queste nostre classi quando manifestano il loro disagio. Magari a volte se ne approfittano? Guardate, lo so bene, ne sono consapevole. Ma il disagio loro è reale: non si cancella sgamandoli, non si cancella facilmente.
Ma poi mi ricordo, scherzandoci su ovviamente, dell’evidente disagio di mio padre che mi faceva sentire a 12 anni le colonne sonore dei film di Dario Argento e all’epoca, pensate, lui aveva esattamente l’età che ho io ora. Ma come gli è venuto in mente, penso ora, ridendo. Questo ricordo mi fa allora pensare che chi esprime un disagio, spesso, neanche si rende conto di ciò. Vuole solo che tu sia lì ad ascoltare ciò che pensa sia qualcosa di giusto da dire o da fare. Poiché questa cosa mi accade tutti i giorni, a volte fallisco anche solo nell’ascolto, troppo preso da capire che cosa ho sbagliato (anche se non è colpa mia spesso!) oppure che cosa potrei fare (9 volte su 10: nulla di immediato!).
Ci sta che nella scuola ci siano tante visioni differenti, viva la democrazia, e capisco che si possano fare o non fare le verifiche (meglio non farle, secondo me!). Ma se in qualche misura le verifiche manifestano il disagio dei ragazzi e delle ragazze, beh, almeno, come minimo, quel disagio va ascoltato in quanto emergente. Poi, da questo ascolto partiamo per parlarne e cercare, tra noi adulti, un modo migliore per creare una comunità di apprendimento dove si fanno scelte condivise che, possibilmente, non coinvolgano né verifiche autoritarie né i dischi (comunque meravigliosi) dei Goblin.