La fisica che ci piacerebbe

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Nella mia (breve) esperienza di divulgazione scientifica, molto spesso le persone mi hanno fatto presente che “se avessero avuto qualcunə che spiegava le cose così a scuola, adesso magari avrebbero fatto altro” nelle loro vite. All’inizio, quando ancora non insegnavo, era un commento che mi faceva piacere. Quando ho iniziato a mettere piede a scuola da docente ho ripensato molte volte a quel commento e mi sono preoccupato.

Già, perché la scuola, ho scoperto da docente, funziona ancora come la scuola che io ho fatto: si spiega, si fanno le verifiche e si prende il voto. In questo classico vortice il laboratorio di fisica finisce in due strade: viene snobbato oppure viene usato per ottenere un voto.

E purtroppo, nella seconda opzione, anche il laboratorio è soggetto al solito stress e ansia da verifica, sebbene sia considerato sempre preferibile alle verifiche in classe secondo lə ragazzə. Ma la questione può avere mille sfaccettature e in questo post vorrei parlarne.

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Aboliamo le interrogazioni a scuola

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Da quando insegno, uno dei miei più grandi crucci è sempre stato quello delle interrogazioni. Qualche anno fa ho preso una decisione drastica: non le faccio più.

Per cercare di farvi capire le motivazioni di questa scelta, parto dal punto in cui nascono tutti i traumi: l’adolescenza a scuola e, in questo caso, parlo della mia.

Una cosa che mi è successa quando ero studente

Ero in prima liceo scientifico, nell’anno scolastico 2000/2001. Io e il mio compagno di banco stavamo chiacchierando, chissà di cosa poi. Il prof di matematica, che i miei compagni di classe – qualora fossero iscritti a questa newsletter – ricorderanno sicuramente, mi chiamò per interrogarmi. Io, che fino a pochi mesi prima ero in una scuola media di paese, già stordito da tutto quello che stava accadendo (il pendolarismo ogni giorno, nuovi compagni che non conoscevo, nuove materie – il latino! – e quelle vecchie più difficili) mi alzai dal banco sapendo di essere stato colto in flagranza di “reato” e che il prof stava – innanzitutto – per punirmi con una interrogazione.

Ma poi, quel prof di quella materia: matematica. Era la mia materia preferita, fino alle medie andavo stra-bene, ma in quel momento preciso mi sentivo stra-scarso. Non avevo ascoltato una cippa di quello che aveva spiegato: che cosa mi stava per chiedere?

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Chi cambierà la scuola?

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Oggi vorrei parlare della storia del cosiddetto boicottaggio dell’esame di stato del secondo ciclo di istruzione e della conseguente repressione esplicita e implicita a cui abbiamo assistito a livello politico e mediatico. Per farlo, oltre al racconto della vicenda di attualità, aggiungerò due piccoli contributi: il mio esame di stato e un film tedesco sceneggiato da Brecht nel 1932 (da cui deriva il mio nickname, peraltro).

Anni fa, il mio esame di stato

Quando ero in quinta liceo scientifico, un po’ come tuttə lə compagnə della mia classe, pensavo a come sarebbe andato l’esame di stato. Avevo in realtà tenuto una buona media dei voti nel triennio (tirata notevolmente su solo da due materie: matematica e fisica) e quindi avevo a disposizione il massimo dei crediti. Ma c’era molto da fare ancora per arrivare a 60!

La prima prova, il tema di italiano, fu un colpo di fortuna: quando arrivo il foglio con le tracce ministeriali fui molto in difficoltà mentre le sfogliavo, tra Dante e altri testi. Poi, la svolta nell’ultima traccia, il tema “libero”, che mi salvò la vita.

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